S’è aperta la fase due del “grande gioco” al massacro che comunque vada a finire rischia di cambiare per sempre la politica italiana. Messi in riga i cattolici e i giornali dissidenti, tocca ora a Fini subire accuse e reprimenda: Bossi e i suoi gli danno pubblicamente del matto, preconizzando per lui un futuro ai giardinetti; Feltri, ispirato dall’odio di Veneziani per l’uomo che avrebbe tradito la destra di cui quest’ultimo s’è fatto custode ortodosso, lo accusa di essere un mezzo comunista, un voltagabbana e un cinico ambizioso. L’idea che sostiene tutti questi attacchi è, all’ingrosso, quella di soffocare o delegittimare ogni pensiero critico nei confronti del Cavaliere, di costruirgli intorno una cintura di sicurezza, di creare un nuovo ordine a partire dal caos generalizzato. La divisione del lavoro appare chiara: il Giornale crocifigge gli avversari, reali o supposti, interni o esterni, a mezzo stampa, insultando e denigrando; la Lega mette a disposizione le truppe, in Parlamento e nelle piazze; Ghedini si occupa dei contenziosi in tribunali a colpi di carte bollate. Quello che non si capisce di questa strategia è se serva davvero a liberare il Cavaliere dai petulanti che lo accusano e lo incalzano - peraltro senza nemmeno distinguere tra chi lo vorrebbe morto e chi, più modestamente, lo vorrebbe soltanto all’altezza del suo ruolo istituzionale, nuovamente capace di fare politica - o piuttosto a renderlo prigioniero dei suoi nuovi e feroci pretoriani. Berlusconi era il politico del sorriso, degli slanci generosi e delle grandi visioni. E per questo ha vinto e convinto. Lo stanno rendendo, più di quanto già non sia da qualche mese in qua, un uomo assediato e impaurito, perennemente accigliato, mosso solo dal risentimento e dallo spirito di vendetta. Contenti loro, contento lui… L’attacco di Feltri a Fini, che da ieri tiene banco, era nell’aria. Da settimane, in settori del centrodestra, gli si rimproverava di aver venduto l’anima all’avversario, di cercare il plauso della sinistra per ragioni di carriera e di mettere i bastoni tra le ruote al governo. Da tempo si diceva che, così continuando, si sarebbe trovato solo e privo di seguito politico, come se il muoversi in controtendenza rispetto alla vulgata fosse divenuto d’improvviso una colpa e senza nemmeno rendersi conto che proprio l’agire in solitudine, il giocare d’anticipo e fuori da ogni schema, è stata a suo tempo la virtù che ha fatto politicamente grande e unico Berlusconi. Ma hanno egualmente colpito la virulenza e il tono delle imputazioni, segno che qualcosa si è rotto per sempre nell’equilibrio dei poteri e nel costume civile di questo sfortunato paese. Ma cosa si imputa a Fini, fatti tutti i conti e una volta accettato l’invito di Feltri, sinceramente paradossale provenendo da lui, ad una discussione pacata e ragionevole?Di aver cambiato idea strada facendo - come capita sovente a chi fa politica prendendola sul serio, considerandola cioè l’arte di dare risposte nuove a problemi nuovi - e di perseguire oggi un’idea di destra, e un’idea di sé e del proprio ruolo sulla scena pubblica, che non piace evidentemente a chi sullo scontro all’arma bianca e sulla logica amico-nemico, volgarizzata al limite del parossismo, ritiene che si debbano costruire le fortune di un partito o di un leader. Non dunque sulla contrapposizione di idee e di programmi, che dovrebbe essere il sale della politica democratica, ma sulla delegittimazione dell’avversario e sulla messa in ridicolo dei suoi argomenti. Strada imboccata a suo tempo proprio contro Berlusconi dalla sinistra, che di fatti ha perso tutte le sue battaglie, e oggi curiosamente percorsa a larghe falcate anche dal centrodestra. Sulla collocazione politico-ideologica di Fini, inequivocabilmente di destra, coerente con l’evoluzione che quest’ultima ha subito in anni recenti su scala europea, ma in linea su molti punti anche con le posizioni tipiche di quella italiana nel secondo dopoguerra, si potrebbe scrivere un lungo e argomentato saggio. Ma non è questo, con ogni evidenza, che interessa Feltri e coloro che ragionano alla sua stregua. Nulla importa loro delle esperienze di Cameron e Sarkozy, che rispetto ai loro omologhi italiani al governo davvero parlano un’altra lingua e hanno un altro stile. E nemmeno li riguarda il fatto che i grandi numi tutelari della destra italiana nelle sue molte anime - da Gentile a Evola, da Prezzolini a Spirito, da Volpe a Montanelli - nulla hanno mai avuto a che fare con una politica che si limita ad aggregare e costruire consenso vellicando gli istinti e mortificando la ragione, che urla e sbraita senza mai costruire nulla, che appare dogmatica e militaresca non in virtù delle sue certezze granitiche ma semplicemente perché manca di idee e di luoghi ove eventualmente discuterle. Feltri imputa a Fini di non fare proposte, ma solo di criticare la sua stessa maggioranza. L’evidenza dice il contrario, come si è visto con riferimento a questioni quali il testamento biologico, il diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari, la riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana. Solo che - chissà per quale ragione - queste che sono a tutti gli effetti proposte e contributi alla discussione politica vengono regolarmente scambiate, soprattutto nel centrodestra, per “provocazioni” che rischiano di confondere le idee al popolo. Senza rendersi conto, ciò dicendo, che la politica (e tanto più coloro che si piccano di essere leader) il popolo dovrebbe guidarlo, non assecondarlo nelle sue paure e nei suoi pregiudizi, peraltro irresponsabilmente alimentati per ragioni di basso e miope tornaconto elettorale. E senza avere chiaro cosa il popolo pensi davvero.Ma ciò che Feltri più gli rimprovera - più dei suoi ammiccamenti a sinistra, più delle sue estemporanee alzate d’ingegno - è, al dunque, di non scendere in campo impugnando anch’egli la spada. Il che è davvero paradossale. Da un lato, quando sostiene posizioni che appaiono eterodosse, si vorrebbe un Fini silente, in omaggio al suo ruolo istituzionale, in realtà in obbedienza ad un formalismo peloso, nello spirito da caserma che così continuando porterà il Pdl alla tomba anzitempo, dall’altro però lo si vorrebbe omologo allo stile, urlante e battagliero, demagogico e sguaiato, che la destra italiana, negando la sua stessa storia, s’è data negli ultimi anni come sua estrema cifra ideologica. Una destra istituzionale e rispettosa dello Stato, amante della legalità e delle regole, composta e pensosa, capace di ripensare se stessa e all’altezza della storia, sembra diventata in Italia una chimera, un sogno impossibile.La verità, per capire ciò che sta davvero accadendo, per trovare un senso in tanta confusione, è che il dopo Berlusconi si è aperto. Ma nel modo peggiore. Invece di accompagnarlo in un chiave politica, compito che spetterebbe al medesimo Berlusconi, si è deciso di esorcizzarlo, di affrontarlo in una chiave grossolana e meramente tattica, puntando a blindare il centrodestra intorno al suo leader di oggi e a gettare in panico in campo avversario, attraverso l’uso di strumenti d’offesa poco convenzionali, dall’insulto ad hominem al dossier anonimo.E così, lungi dal costruire il grande partito dei moderati, che sia lo sviluppo coerente ma non meccanico di questi quindici anni di storia berlusconiana, si stanno ponendo le premesse perché esso imploda in un fragore sordo, dissolto in mille spezzoni. Sarà un campo di rovine l’eredità del Cavaliere grazie ai suoi volenterosi miliziani?
*da “Il Riformista” del 9 settembre 3009
*da “Il Riformista” del 9 settembre 3009
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