giovedì 24 settembre 2009

24 settembre 2009 – QUINTO CONSIGLIO COMUNALE




Se quello di sabato scorso era un “espresso”, questo è stato un Pocket Coffee

All’ordine del giorno solamente due punti:
1) SALVAGUARDIA DEGLI EQUILIBRI DI BILANCIO DI CUI ALL’ART. 193 DEL D.LGS. n. 267/2000
2) APPALTO DI SERVIZI SOCIO ASSISTENZIALI, SANITARI E SERVIZIO PULIZIE PRESSO LA CASA PROTETTA COMUNALE E SERVIZIO DI ASSISTENZA DOMICILAIRE. IMPEGNO DI SPESA PLURIENNALE.

Il consiglio inizia alle ore 19,07.
Questa volta tutto nell’ordine stabilito dal “cerimoniale”:
- Inno… o meglio, il riassunto dell’Inno di Mameli;
- Appello… assente giustificato solamente il consigliere Andrea Bergami, a Milano per impegni politici legati al suo ruolo di presidente di AG di Poggio e dirigente di Azione Universitaria a Ferrara;
- Nomina degli scrutatori: oltre alle due giovanissime consigliere del centrosinistra Casari e Perrone e… Cavallo. I più giovani! A parte le battute, il nostro consigliere Cavallo sorride ad essere accostato – solo per la nomina di scrutatore – alle due graziose componenti della maggioranza.

Si procede con l’esposizione del punto 1. E’ l’assessore Poppi l’incaricato e, agevolemte, spiega che tutto procede come previsto, che non ci sono sorprese nei conti del Comune e che, dopo i lievi aggiustamenti operati precedentemente, tutto prosegue a tranquilla navigazione.
Il capogruppo di UpP Garuti dichiara il voto di astensione del suo gruppo, non per il punto in se’, ma per il fatto che riguarda un bilancio preventivo sul quale ci si era espressi negativamente in passato.
Il capogruppo PDL Sani, fa altrettanto… senza giri di parole. Astensione.
Il capogruppo PD Ingargiola annuncia voto favorevole.
Il punto viene approvato a maggioranza con quattro astensioni…

Il punto 2 tocca all’assessore Pietrucci. Spiega che, scaduto l’appalto in questione, il comune dovrà assumere un impegno triennale (che toccherà quattro esercizi finanziari) e che è previsto nell’appalto anche il servizio di assistenza domiciliare.
Garuti si dice soddisfatto della prosecuzione di un impegno che anche la sua amministrazione aveva preso e chiede al suo gruppo il voto favorevole.
Sani si compiace di quanto disposto e annuncia anch’esso il voto favorevole del PDL.
Altrettanto fa Ingargiola.
Il punto 2 è approvato all’unanimità.

Il presidente Ferron sta per “togliere” la seduta ma si fa scrupolo di sentire se qualcuno avesse qualcosa da aggiungere.
Sani chiede la parola. Nonostante non fosse previsto nell’ODG il punto “Interrogazioni ed interpellanze”, chiede lumi su una questione:

“Al termine del secondo consiglio comunale dello scorso 9 luglio, chiedemmo attraverso un’interrogazione a risposta scritta, se non fosse il caso di derogare ai divieti di sosta nelle vie che circondano la piazza, durante lo svolgimento del mercato settimanale, la mattina dei mercoledì. I cittadini lamentano il fatto che, essendo la piazza occupata dagli ambulanti, i parcheggi erano insufficienti e le multe fioccavano. Nel successivo consiglio comunale (il quarto dell’11 agosto 2009) l’Amministrazione ci rese risposta scritta e questa era negativa. A questa risposta era allegata anche una perizia della Polizia Municipale che diceva che proprio nelle giornate di maggior flusso di persone nella piazza del capoluogo, le vie che fungono da perimetro alla stessa dovevano essere lasciate sgombre soprattutto per agevolare la circolazione dei mezzi di soccorso.
Ebbene, proprio questo pomeriggio, in concomitanza con l’arrivo delle giostre nella piazza, i segnali di divieto di sosta sono stati incappucciati. Chiedo al Signor Sindaco e all’Assessore competente di spiegarmi la cosa. Si tratta di un ravvedimento dell’Amministrazione che si è resa conto che, occupata la piazza, occorrono i parcheggi o cosa?”

Il Sindaco, che non ha proferito parola fino a quel momento, fa cenno di non essersi accorto dell’anomalia dei segnali incappucciati. "E' un'iniziativa della Polizia Municipale!" sussurra il sindaco. L’Assessora Garuti accenna ad una spiegazione: “Ma è per San Michele!”
La deroga, quindi, non è possibile per 5 ore alla settimana in occasione del mercato, ma è possibilissima per ben 11 giorni (e notti) di fila, tanto durerà la permanenza delle giostre in piazza per la fiera di San Michele.
Ne abbiamo imparata una nuova: i mezzi di soccorso, a San Michele, volano… come gli asini della famosa barzelletta.

sabato 19 settembre 2009

19 settembre 2009 - QUARTO CONSIGLIO COMUNALE

Un consiglio comunale espresso: 30 minuti 30.

La convocazione di sabato mattina ci aveva lasciato un po' interdetti. Prima ancora della data di questo consiglio ne è già stato convocato un altro per giovedì 24/09... ore 19.00. Speriamo sinceramente che il Sindaco non intenda cambiare la consuetudine delle riunioni di Consiglio alle ore 21.00. Checchè ne possa pensare il sindaco di Berra (che è al centro di una polemica a livello provinciale per aver deciso di convocare i consigli alle ore 19.00) anche i lavoratori dipendenti, oltre agli autonomi, possono avere dei problemi a presenziare la mattina del sabato o in orario pomeridiano.

Tornando a noi: all'ordine del giorno comparivano i seguenti punti:

1) Lettura ed approvazione dei verbali delle sedute precedenti;

2) Comunicazioni al Consiglio comunale;

3) Legge regionale n. 6/2009 "Governo e riqualificazione solidale del Territorio". Adempimenti di cui all'art. 55

4) Indirizzi del Consiglio comunale per la nomina dei rappresentanti dell'Ente presso enti, aziende, istituzioni;

5) Appalto del servizio di refezione scolastica per gli anni scolastici 2009/2010, 2010/2011 e 2011/2012 - Assunzione impegno di spesa pluriennale;

6) Interpellanze ed interrogazioni.

La seduta, convocata per le 10 e mezza, inizia con dieci minuti di ritardo dovuto alla convocazione dei capigruppo da parte del Responsabile d'Area per la Gestione del Territorio, Geom. Rizzioli, che ha illustrato una modifica a quanto da votare per il punto 3.

Ore 10.40 si ascolta l'Inno. Terminato questo, il Presidente Ferron chiede, con parole commosse, un minuto di raccoglimento al Consiglio comunale, in memoria dei "nostri Eroi caduti a Kabul". Non l'avesse fatto lui, l'avremmo richiesto noi: anche se non si tratta di vicende legate al "locale" - non ce ne vogliano i consiglieri di Uniti per Poggio - la partecipazione al lutto nazionale è dovere, oltre che di ogni cittadino italiano, del Consiglio comunale che rappresenta la prima (partendo dal basso) cellula della democrazia rappresentativa del nostro Paese. Osserviamo in piedi il minuto di silenzio. Al termine di questo, il Presidente Ferron ringrazia i consiglieri, ricorda la sua partecipazione - anche se breve - alla Brigata "FOLGORE" negli anni '60 e legge, uno ad uno, il nome, l'età ed il grado dei nostri Caduti.

Si parte con il

Punto 1. Il consesso approva all'unanimità (con l'esclusione del Consigliere Brunello, che nella scorsa seduta era assente) il verbale del C.C. dello scorso 11 agosto.

"Acc... Abbiamo dimenticato l'appello!" sbotta il Segretario comunale. Procediamo all'appello: consigleri comunali al gran completo! (Finite le ferie, eh?) E dopo l'appello il Presidente ricorda anche di nominare i "soliti" scrutatori (che non riportiamo nemmeno più, tanto si tratta sempre degli stessi: i più giovani del Consiglio).

Punto 2. Il Sindaco non ha niente da comunicare... passiamo al successivo.

Punto 3. Il Geom. Rizzioli illustra - a grandi linee ma piuttosto efficacemente - le modalità di recepimento, da parte del Comune di Poggio Renatico, del famoso "Piano-casa". In pratica vi sarà la possibilità di inervenire ad incrementare di una quota che va dal 20 al 30% le cubature delle unità immobiliari ad uso abitazione che non siano sotto vincolo paesaggistico, ambientale o storico. Quanto non previsto dal provvedimento, ricade sotto i vincoli della legislazione preesistente. Non potendo elogiare l'iniziativa che era partita dal Governo Berlusconi, il Geom. Rizzioli non ha mancato di far notare che le competenze in materia sono prerogativa delle Regioni e dei Comuni... e che il Governo aveva preso un abbaglio, arrogandosele. Il Consigliere Garuti è intervenuto per dire che non vi era nulla che ostasse al voto favorevole da parte di UpP. Il gruppo PDL non ha espresso in Consiglio le riserve sul burocratese hard utilizzato dagli uffici comunali per stilare il provvedimento. Votato e approvato all'unanimità.

Punto 4. Si tratta di un "atto dovuto". Riguarda le modalità di affidamento degli incarichi presso gli enti esterni al comune. Si approva all'unanimità.

Punto 5. Il gruppo PDL presenta tre nuove interrogazioni:

a) La sistemazione del fondo stradale di Via Grandi (che attende da tre anni) per cui i cittadini residenti avevano già presentato una petizione alla precedente Amministrazione. Si fa notare che, trattandosi di un intervento di maggiore "visibilità" politica, si è preferito rattoppare una qualche crepa dell'asfalto della piazza, anzichè dare la priorità ad un opera che attende da così tanto tempo.

b) La messa in sicurezza, tramite limite di velocità e rallentatori al traffico automobilistico, della Via dell'Artigianato. Il supermercato LIDL, essendo prossimo a trasferirsi nella nuova più spaziosa locazione, comporterà un notevole aumento del traffico pesante dei rifornimenti che, dovendo recarsi nel nuovo magazzino accessibile da una traversa che parte dalla metà della Via dell'Artigianato, dovranno percorrere un tratto di strada maggiore di quanto non percorrano attualmente. Si ricorda all'amministrazione che Via dell'Artigianato non è esclusivamente un insediamento artigianale, bensì un importante insediamento residenziale.

c) Si chiede all'Amministrazione di relazionare il Consiglio (per iscritto) sullo stato attuale della vicenda dell'Asilo Nido... Il rudere non terminato che è divenuto oramai monumento alle lungaggini della burocrazia locale. Il Sindaco anticipa oralmente la risposta e ci informa che il collaudo tecnico è concluso. L'unico ostacolo alla prosecuzione dei lavori è il patto di stabilità. Ci permettiamo di considerare che questo è senz'altro vero... ma vogliamo ricordare anche che il patto di stabilità a cui si vogliono attribuire tutte le disgrazie dell'universo mondo è stato "inventato" da Tremonti nell'autunno del 2008. Continuiamo a chiederci perchè non si sia provveduto nei quattro anni che hanno preceduto il provvedimento del governo, visto che il progetto del Nido risale ancora all'amministrazione Garuti!

In coda si fa notare che mancano all'appello (dal progressivo delle delibere di giunta) due delibere: la n. 90 e la 93. Ci viene risposto dal Segretario che sono ancora in fase di deliberazione. (???)

Chiediamo al Sindaco la risposta scritta alle due interrogazioni presentate lo scorso 11 agosto. Il Sindaco guarda con fare interrogativo il Segretario... No, non c'è ancora una risposta. Nessun problema: prendiamo atto.

Fine del Consiglio comunale. Rompiamo le righe!



giovedì 17 settembre 2009

lunedì 14 settembre 2009

FARE POLITICA OLTRE IL PRESENTISMO di Alessandro Campi*


Gianfranco Fini non abbandonerà Silvio Berlusconi: non gli farà lo sgambetto fondando un suo nuovo partito e non darà una mano ai nemici di quest'ultimo annidati nel Palazzo, nelle redazioni dei giornali e nelle procure. E ciò non per le ragioni che suggerisce Feltri nel suo editoriale sul “Giornale” di oggi: perché diversamente, se non si decide a “rientrare nei ranghi”, anche lui e i suoi uomini verranno travolti dal fango, dai dossier anonimi e dal fuoco della calunnia a mezzo stampa. Ma per ragioni più serie e cogenti, di natura politica, che sfuggono o non sono ritenute importanti da chi ha deciso di derubricare la lotta politica a minaccia e ricatto.La prima, sentimentale, è che quindici anni di collaborazione e di amicizia, di incontri che in alcune fasi sono stati persino quotidiani, non si cancellano d'un colpo, solo perché nel frattempo sono insorti divaricazioni e attriti. Riconoscenza e lealtà, si dice, non hanno nulla a che fare con i rapporti di potere, dove contano solo l'interesse e il tornaconto immediati, ma questo è il realismo dei cinici, che pensano di saperla lunga, di conoscere il mondo la storia e gli uomini, mentre in realtà hanno solo idee confuse e approssimative, finendo così per interpretare la politica a misura delle proprie miserie. La seconda, più concreta e fattuale, è che Fini non ha alcuna convenienza ad apparire – ammesso sia mai stata questa la sua intenzione – come colui che colpisce alle spalle il suo antico alleato, per di più in un momento di sua oggettiva difficoltà e in una fase politicamente così turbolenta e magmatica, che sembra fatta apposta per favorire le peggiori avventure. L'elettorato non apprezzerebbe quello che a tutti gli effetti sarebbe un tradimento, un gesto estremo e imperdonabile, che in politica non ha mai portato fortuna a chi lo ha commesso. La terza, quella dirimente, è che Fini – come lui va ripetendo, senza che nessuno si decida a prenderlo sul serio – sta conducendo una battaglia diversa – per contenuti e tempi di svolgimento – da quella che gli viene quotidianamente imputata: non una guerra di logoramento e d’usura ai danni del Cavaliere, che sarebbe in effetti un suicidio politico, ma appunto una battaglia di idee – e conseguentemente anche politica – finalizzata a due obiettivi di massima: da un lato, la creazione di un blocco sociale, politico e culturale che possa stabilizzare il berlusconismo, dandogli un futuro, e rendere permanenti le trasformazioni che hanno investito il sistema politico nell’ultimo quindicennio, a partire dal bipolarismo; dall’altro, la definizione di un orizzonte ideale, di un sistema di valori, di uno stile politico, diversi da quelli che caratterizzano attualmente il centrodestra, meno orientati al populismo e alla demagogia antipolitica, maggiormente aderenti al modo d’essere e di ragionare dei partiti e delle forze che si riconoscono nella famiglia del popolarismo europeo. A Gubbio Fini è stato chiaro: il Popolo della libertà è e rimane il suo partito. Solo che lo vorrebbe diverso da come è attualmente. Al momento nulla più di un organigramma, all’interno del quale poco si discute e poco si decide. Un partito che la gente non vota, dice lo stesso Denis Verdini, uno dei suoi coordinatori, perché in realtà la gente vota solo e soltanto Silvio Berlusconi. Ma se le cose stanno così perché non chiuderlo direttamente? Che senso ha mantenere in piedi un simile apparato se si tratta solo di una copertura o di una messinscena, se ciò che conta – oggi, domani, sempre – è solo e soltanto la volontà di Berlusconi e la sua capacità di aggregare consenso qualunque cosa faccia e dica?La verità è che tra i maggiorenti del partito, tra i fedelissimi di Berlusconi, ha preso piede nel corso del tempo un atteggiamento che si può solo definire nichilista e potenzialmente autodistruttivo. Il loro problema non è, forse non è mai stato, dare continuità storica al berlusconismo, farlo diventare una famiglia politica stabile, perpetuare un’eredità e dare un senso politicamente compiuto ad una stagione politica tra le più convulse e tuttavia esaltanti della recente storia italiana, ma cavalcare l’onda sino a che ci sarà Berlusconi. Brunetta, per fare un esempio, quest’atteggiamento lo ha apertamente teorizzato: io sono berlusconiano, ha scritto alla lettera qualche tempo fa, perché a me del dopo Berlusconi non me ne importa nulla. Dopo Silvio, dunque, venga pure il diluvio, tanto noi non ci saremo più e comunque a quel punto, quando la festa sarà finita, faremo altre cose. Nel frattempo, però, quanto ci siamo divertiti!Bene, il problema di Fini, che è poi il problema dei moderati e della stessa politica italiana, è esattamente il contrario: far sì che dopo Berlusconi, quando sarà, non si torni al punto di partenza, non vincano i restauratori o i nostalgici della Prima Repubblica, non ci si trovi in un deserto di rovine, non si lasci campo libero al progetto disgregante perseguito con precisione chirurgica dalla Lega. E perché ciò accada, perché questi quindici anni di storia italiana non si risolvano dunque in una solitaria cavalcata nel deserto, avvincente quanto sterile, lo strumento del partito è a dir poco indispensabile.Ma, appunto, un partito vero. Con un leader, certo, ma anche con una base militante, con dirigenti e quadri che trovino qualcuno a Roma disposto ad ascoltarli, con una sua autonoma piattaforma culturale, con molte anime e sensibilità al suo interno, tutte legittime e rispettose le une delle altre, come si conviene ad un partito che è nato per essere inclusivo e plurale, per parlare a quanti più italiani possibile, per imporre nella società italiana una presenza non effimera.E invece questo partito, almeno per come appare sinora, è silente e inconsistente. Dovrebbe essere, perché a questo servono i partiti, la cinghia di trasmissione attraverso la quale stabilire un dialogo continuo e costruttivo con la società italiana nelle sue diverse articolazioni. Nella realtà, avendo sposato l’idea del partito carismatico-plebiscitario, inteso come semplice comitato elettorale, come forza d’urto da mobilitare solo in occasione di adunate propagandistiche e di scadenze alle urne, sta accadendo esattamente il contrario. Ciò che conta, ciò che si ritiene politicamente pagante, è solo il continuo appello al “popolo”, che è un’astrazione retorica, mentre si trascurano il radicamento nel territorio e il dialogo con le forze sociali organizzate, finendo così per aderire ad un’immagine falsata e sociologicamente primitiva della realtà italiana, percepita alla stregua di un magma indistinto, di un blocco destrutturato abitato da individui alla deriva, ai quali solo il carisma del capo può offrire un ancoraggio stabile. Peggio, nel convincimento che sia in corso una guerra politica all’ultimo sangue, con l’idea di dover difendere a spada tratta Berlusconi dai suoi molti nemici ovunque annidati, si è addirittura scelto di andare allo scontro frontale con qualunque forma di potere sociale organizzato. Si sospetta degli industriali perché dialogano con la Cigl. Si ritengono i sindacati un freno allo sviluppo economico. Si polemizza con la Chiesa solo perché, facendo il suo mestiere, invita a comportamenti morali gli individui. Si inveisce contro il culturame come ai tempi di Scelba. Si considerano i giornali un covo di sovversivi. Si mortifica il pubblico impiego con le campagne contro i fannulloni. Si inveisce contro il sistema bancario. Si vede nella magistratura una minaccia all’ordine costituito. Si impreca in modo indistinto contro i “poteri forti”. Si trascurano le forze dell’ordine per fare posto alle ronde. Si trattano gli immigrati, che sono ormai una presenza stabile nella società italiana, come ospiti indesiderati. Si tolgono risorse alla scuola nella convinzione che tanto i professori votino tutti a sinistra. Insomma, stiamo assistendo allo strano spettacolo di un partito, il più grande in Italia e uno dei più grandi in Europa, che è attualmente al potere ma si comporta come una forza di minoranza, assediata e priva di respiro progettuale, senza una forza propria, in urto con il mondo intero. Un partito che senza accorgersene sta procedendo sulla strada dell’isolamento sociale, che prima o poi, quando non ci sarà più la magia di Silvio a far quadrare le cose, rischia a sua volta di diventare isolamento politico ed elettorale. Questo Fini sembra averlo capito e per questo vorrebbe un Pdl più dinamico e attivo, più strutturato e autonomo, meno condizionato in ogni suo atto dall’ombra del suo leader, che nessuno peraltro mette in discussione, più dialettico al suo interno ma anche maggiormente in grado di intrecciare relazioni, contatti, alleanze stabili con il mondo esterno, invece di stare a minacciare ogni giorno sfracelli e rappresaglie.Questo, per chi lo abbia ascoltato con attenzione, è stato il senso autentico dell’intervento di Fini a Gubbio. Un invito al realismo e all’intraprendenza, alla sobrietà nello stile e al coraggio delle idee, un invito a fare politica fuori da una logica di continua emergenza, un invito a cambiare marcia affinché il Pdl, che resta una grande intuizione politica, ma le intuizioni debbono prima o poi concretizzarsi, possa dispiegare al meglio tutte le sue potenzialità. Nonostante ciò – vuoi per malizia, vuoi per la soggettiva difficoltà di alcuni a distinguere tra le miserie della politica quotidiana e una critica che si vuole strategica e costruttiva – c’è chi continua a non capire, immaginando che dietro le parole del Presidente della Camera ci siano motivazioni recondite e inconfessabili. Fini è, come suole dirsi, un politico navigato. Sa bene, dunque, che le sue attuali posizioni rischiano di essere utilizzate in modo strumentale da chi, muovendosi a sua volta alla cieca, sembra avere in testa un solo obiettivo: liquidare Berlusconi a qualunque costo e con qualunque mezzo. Ma la fine traumatica di Berlusconi significherebbe la morte prematura del disegno strategico perseguito da Fini, disegno del quale si può ovviamente pensare tutto il male possibile, ma che non ha nulla a che vedere con le pazze geometrie politiche che vanno attualmente di moda sui giornali e nei corridoi del potere. In questa fase Fini sta incassando molti applausi a sinistra, una sinistra mai tanto confusa e priva di bussola, ma le sue parole, a leggerle con attenzione, hanno tutt’altro destinatario, appunto un centrodestra che invece di chiudersi a riccio dovrebbe puntare ad allargare i suoi attuali confini, e soprattutto obiettivi diversi da quelli sospettati o temuti. E questo esclude, se la politica mantiene ancora un minimo di razionalità, che egli possa prestarsi a manovre ed espedienti che peraltro rischiano di non portare a nulla e di aumentare l’attuale confusione, con danno gravissimo per la democrazia e per l’intero paese.Stando così le cose, dispiace – ammesso il dispiacere sia una categoria politica – che le sue posizioni vengano ridotte a caricatura, che ogni sua uscita venga vissuta come un attacco o una provocazione all’interno del suo stesso campo. Dispiace, insomma, che non ci si renda conto che la sua non è una subdola battaglia contro la maggioranza di cui fa parte, ma un tentativo – discutibile, per carità, ma bisognerebbe avere il buon gusto di contestarne gli argomenti invece di ricorrere a segnali obliqui e a vaghe minacce, invece di fare continui processi alle intenzioni – teso a far crescere il centrodestra in una chiave autenticamente egemonica, a dargli un respiro europeo, a garantirgli, in primis attraverso lo strumento del partito, insostituibile in democrazia, un futuro politico e uno stabile radicamento della società. Con Berlusconi, oggi, oltre Berlusconi (e oltre lo stesso Fini), domani. Che non lo capisca Feltri, ci può anche stare: è un giornalista e il suo obiettivo non è fare politica, ma vendere più copie del giornale che dirige. Che non lo capiscano Berlusconi, i berlusconiani e i maggiorenti del Pdl, prigionieri dell’eterno presente che ormai ne condiziona ogni pensiero e azione, vittime della sindrome da complotto che essi stessi stanno irresponsabilmente alimentando, questo sì che è davvero preoccupante. Per il centrodestra, per l’Italia.


da FareFuturo web magazine del 14 settembre 2009

mercoledì 9 settembre 2009

SI É APERTO IL “DOPO-BERLUSCONI” di Alessandro Campi*


S’è aperta la fase due del “grande gioco” al massacro che comunque vada a finire rischia di cambiare per sempre la politica italiana. Messi in riga i cattolici e i giornali dissidenti, tocca ora a Fini subire accuse e reprimenda: Bossi e i suoi gli danno pubblicamente del matto, preconizzando per lui un futuro ai giardinetti; Feltri, ispirato dall’odio di Veneziani per l’uomo che avrebbe tradito la destra di cui quest’ultimo s’è fatto custode ortodosso, lo accusa di essere un mezzo comunista, un voltagabbana e un cinico ambizioso. L’idea che sostiene tutti questi attacchi è, all’ingrosso, quella di soffocare o delegittimare ogni pensiero critico nei confronti del Cavaliere, di costruirgli intorno una cintura di sicurezza, di creare un nuovo ordine a partire dal caos generalizzato. La divisione del lavoro appare chiara: il Giornale crocifigge gli avversari, reali o supposti, interni o esterni, a mezzo stampa, insultando e denigrando; la Lega mette a disposizione le truppe, in Parlamento e nelle piazze; Ghedini si occupa dei contenziosi in tribunali a colpi di carte bollate. Quello che non si capisce di questa strategia è se serva davvero a liberare il Cavaliere dai petulanti che lo accusano e lo incalzano - peraltro senza nemmeno distinguere tra chi lo vorrebbe morto e chi, più modestamente, lo vorrebbe soltanto all’altezza del suo ruolo istituzionale, nuovamente capace di fare politica - o piuttosto a renderlo prigioniero dei suoi nuovi e feroci pretoriani. Berlusconi era il politico del sorriso, degli slanci generosi e delle grandi visioni. E per questo ha vinto e convinto. Lo stanno rendendo, più di quanto già non sia da qualche mese in qua, un uomo assediato e impaurito, perennemente accigliato, mosso solo dal risentimento e dallo spirito di vendetta. Contenti loro, contento lui… L’attacco di Feltri a Fini, che da ieri tiene banco, era nell’aria. Da settimane, in settori del centrodestra, gli si rimproverava di aver venduto l’anima all’avversario, di cercare il plauso della sinistra per ragioni di carriera e di mettere i bastoni tra le ruote al governo. Da tempo si diceva che, così continuando, si sarebbe trovato solo e privo di seguito politico, come se il muoversi in controtendenza rispetto alla vulgata fosse divenuto d’improvviso una colpa e senza nemmeno rendersi conto che proprio l’agire in solitudine, il giocare d’anticipo e fuori da ogni schema, è stata a suo tempo la virtù che ha fatto politicamente grande e unico Berlusconi. Ma hanno egualmente colpito la virulenza e il tono delle imputazioni, segno che qualcosa si è rotto per sempre nell’equilibrio dei poteri e nel costume civile di questo sfortunato paese. Ma cosa si imputa a Fini, fatti tutti i conti e una volta accettato l’invito di Feltri, sinceramente paradossale provenendo da lui, ad una discussione pacata e ragionevole?Di aver cambiato idea strada facendo - come capita sovente a chi fa politica prendendola sul serio, considerandola cioè l’arte di dare risposte nuove a problemi nuovi - e di perseguire oggi un’idea di destra, e un’idea di sé e del proprio ruolo sulla scena pubblica, che non piace evidentemente a chi sullo scontro all’arma bianca e sulla logica amico-nemico, volgarizzata al limite del parossismo, ritiene che si debbano costruire le fortune di un partito o di un leader. Non dunque sulla contrapposizione di idee e di programmi, che dovrebbe essere il sale della politica democratica, ma sulla delegittimazione dell’avversario e sulla messa in ridicolo dei suoi argomenti. Strada imboccata a suo tempo proprio contro Berlusconi dalla sinistra, che di fatti ha perso tutte le sue battaglie, e oggi curiosamente percorsa a larghe falcate anche dal centrodestra. Sulla collocazione politico-ideologica di Fini, inequivocabilmente di destra, coerente con l’evoluzione che quest’ultima ha subito in anni recenti su scala europea, ma in linea su molti punti anche con le posizioni tipiche di quella italiana nel secondo dopoguerra, si potrebbe scrivere un lungo e argomentato saggio. Ma non è questo, con ogni evidenza, che interessa Feltri e coloro che ragionano alla sua stregua. Nulla importa loro delle esperienze di Cameron e Sarkozy, che rispetto ai loro omologhi italiani al governo davvero parlano un’altra lingua e hanno un altro stile. E nemmeno li riguarda il fatto che i grandi numi tutelari della destra italiana nelle sue molte anime - da Gentile a Evola, da Prezzolini a Spirito, da Volpe a Montanelli - nulla hanno mai avuto a che fare con una politica che si limita ad aggregare e costruire consenso vellicando gli istinti e mortificando la ragione, che urla e sbraita senza mai costruire nulla, che appare dogmatica e militaresca non in virtù delle sue certezze granitiche ma semplicemente perché manca di idee e di luoghi ove eventualmente discuterle. Feltri imputa a Fini di non fare proposte, ma solo di criticare la sua stessa maggioranza. L’evidenza dice il contrario, come si è visto con riferimento a questioni quali il testamento biologico, il diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari, la riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana. Solo che - chissà per quale ragione - queste che sono a tutti gli effetti proposte e contributi alla discussione politica vengono regolarmente scambiate, soprattutto nel centrodestra, per “provocazioni” che rischiano di confondere le idee al popolo. Senza rendersi conto, ciò dicendo, che la politica (e tanto più coloro che si piccano di essere leader) il popolo dovrebbe guidarlo, non assecondarlo nelle sue paure e nei suoi pregiudizi, peraltro irresponsabilmente alimentati per ragioni di basso e miope tornaconto elettorale. E senza avere chiaro cosa il popolo pensi davvero.Ma ciò che Feltri più gli rimprovera - più dei suoi ammiccamenti a sinistra, più delle sue estemporanee alzate d’ingegno - è, al dunque, di non scendere in campo impugnando anch’egli la spada. Il che è davvero paradossale. Da un lato, quando sostiene posizioni che appaiono eterodosse, si vorrebbe un Fini silente, in omaggio al suo ruolo istituzionale, in realtà in obbedienza ad un formalismo peloso, nello spirito da caserma che così continuando porterà il Pdl alla tomba anzitempo, dall’altro però lo si vorrebbe omologo allo stile, urlante e battagliero, demagogico e sguaiato, che la destra italiana, negando la sua stessa storia, s’è data negli ultimi anni come sua estrema cifra ideologica. Una destra istituzionale e rispettosa dello Stato, amante della legalità e delle regole, composta e pensosa, capace di ripensare se stessa e all’altezza della storia, sembra diventata in Italia una chimera, un sogno impossibile.La verità, per capire ciò che sta davvero accadendo, per trovare un senso in tanta confusione, è che il dopo Berlusconi si è aperto. Ma nel modo peggiore. Invece di accompagnarlo in un chiave politica, compito che spetterebbe al medesimo Berlusconi, si è deciso di esorcizzarlo, di affrontarlo in una chiave grossolana e meramente tattica, puntando a blindare il centrodestra intorno al suo leader di oggi e a gettare in panico in campo avversario, attraverso l’uso di strumenti d’offesa poco convenzionali, dall’insulto ad hominem al dossier anonimo.E così, lungi dal costruire il grande partito dei moderati, che sia lo sviluppo coerente ma non meccanico di questi quindici anni di storia berlusconiana, si stanno ponendo le premesse perché esso imploda in un fragore sordo, dissolto in mille spezzoni. Sarà un campo di rovine l’eredità del Cavaliere grazie ai suoi volenterosi miliziani?

*da “Il Riformista” del 9 settembre 3009

martedì 8 settembre 2009

LO SCONTRO FINI-BERLUSCONI SPIEGATO A MIA MAMMA di Carmelo Palma*

Cara Mamma,
non credere a Feltri, che non crede a nulla e ci sta simpatico anche per questo. Fini non è diventato di sinistra. Se te lo spiego in politichese non capisci e non lo capisco bene neanche io, anche perché non è proprio uno scontro politico, ma è piuttosto un incidente stradale.
A Fini, quasi 15 anni fa, non solo Berlusconi ma l’Italia berlusconiana (votando in massa per l’editore dei Puffi e di Drive In, che voleva abbassare le tasse e combattere i moralisti e i comunisti) spiegò che la destra italiana non solo non doveva più essere fascista, ma non poteva neppure più essere puramente conservatrice. Che per conservare il buono, bisognava buttare un sacco di simbologie, di pregiudizi, di cattive abitudini: quella all’invidia sociale e quella all’ipocrisia sociale, quella di mettere a debito ai figli l’egoismo dei padri, e quella di far pagare ai cittadini il moralismo interessato dei legislatori.
Fini ha capito la strada ed è partito. La storia del centro-destra europeo gli ha confermato che la direzione era quella giusta e ora è lanciato come un siluro. E che succede: succede che quel diavolo del Cavaliere, mentre stava per essere raggiunto, ha prima inchiodato e poi messo la retromarcia. Capito? La retromarcia! Pum! Feltri si è travestito da vigile urbano, è accorso sul luogo dello scontro e ha fatto la multa a Fini, dicendo che sulla strada del centro-destra in Italia si deve procedere al contrario, perché il Presidente Guidatore ha deciso così e il popolo automobilista gradisce. Vagli a spiegare che guidare in retromarcia è molto più pericoloso, e non porta lontano. Giusto a parcheggiarsi da qualche parte.
Ora tu mi chiederai perché il Cavaliere ha messo la retromarcia e ha deciso di parcheggiare il centro-destra vicino al punto da cui era partito. Ma a questa domanda quel pesce lesso di tuo figlio non sa ancora rispondere.
Ciao

*da Libertiamo.it

lunedì 7 settembre 2009

Pdl/Fini, i sospetti dei suoi e l'appello a 'evitare risse' *


Fino a sera nessun contatto con Berlusconi, poi nota premier

Roma, 7 set. (Apcom) - "Come ha preso Fini l'editoriale di Feltri? Sarebbe bello sapere come l'ha presa Berlusconi...". A metà pomeriggio gli uomini che avevano avuto modo di parlare con il presidente della Camera sintetizzavano con questa battuta lo stato d'animo con il quale avevano accolto il durissimo affondo del 'Giornale' contro Gianfranco Fini. Sospetti e tensioni alimentate dalla provenienza dell'attacco a mezzo stampa, sospetti e tensioni solo in parte stemperati, a sera, dalla 'dissociazione' del Cavaliere, utile soprattutto a stoppare il rischio di un'escalation tutta interna al Pdl. A fotografare il clima, piuttosto gelido, tra i due leader del Pdl basterebbe forse il fatto che, fino a pomeriggio inoltrato, nessun contatto veniva segnalato tra Berlusconi e Fini. Nemmeno una telefonata, tanto che chi conosce entrambi assicurava: "Fino alle sette di sera nessun colloquio, l'ultima volta che si sono sentiti è stato a inizio agosto". D'altra parte l'unico commento ufficiale che filtra dall'entourage del presidente della Camera attinge dal repertorio finiano delle ultime settimane: "Bisogna stoppare questo clima di rissa permanente". Ma è scontato che l'attacco, vissuto dai finiani alla stregua di un "insulto", rivolto dal giornale di proprietà del fratello del premier, ha irritato il presidente della Camera. Fini l'ha sempre detto: in un partito plurale, in una formazione già vicina al 40% dei consensi non si può pensare che esprimere un'opinione diventi reato di lesa maestà. "Rientrare nei ranghi? Quali, quelli di Berlusconi? Vogliono il pensiero unico?", si scaldava un finiano durante una giornata vissuta con apprensione. Poi, alle sette di sera, la nota di Berlusconi, la seconda in due settimane, dopo quella messa nero su bianco per frenare le conseguenze del caso Boffo. "Come si può ben immaginare non ero a conoscenza dell'articolo del dottor Feltri sul Presidente Fini apparso oggi su Il Giornale - assicura il Cavaliere - articolo di cui non posso condividere i contenuti. Confermo invece al Presidente Fini la mia stima e la mia vicinanza". A scorgere l'elenco dei politici del Pdl scesi in campo durante la giornata per difendere Gianfranco Fini dal duro attacco di Vittorio Feltri sul 'Giornale' si ha forse la mappa della situazione interna al Popolo della libertà. Di fronte alle parole di fuoco dedicate dal direttore del quotidiano al presidente della Camera, si nota innanzitutto il silenzio dell'ala forzista del partito. Né Sandro Bondi, né Denis Verdini hanno speso una parola per l'ex leader di An. Anche i vertici dei gruppi parlamentari, ad eccezione del vicecapogruppo Italo Bocchino, tacciono: zero interventi di Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. L'intervento di Ignazio La Russa, invece, arriva alle 19.30, poco dopo quello di Berlusconi. E poi ci sono ministri un tempo vicinissimi al presidente della Camera come Altero Matteoli, oltre che l'intera compagine governativa di estrazione Forza Italia. Sulla sponda opposta, quella dei 'finiani' o 'neofiniani', si collocano i fedelissimi del presidente della Camera, quelli che lo hanno sostenuto nelle ultime battaglie. Lo difende Italo Bocchino ("Da Feltri un attacco poco elegante"), lo sostiene Fabio Granata ("il partito non è una caserma"), lo appoggia Andrea Ronchi ("Fini e un leader coraggioso ed è il cofondatore del Pdl") e sollecitata scende in campo in sua difesa Giorgia Meloni ("Il partito non è una caserma, occorre rispetto"). Con lui anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che invita Feltri a rientrare nei ranghi, e Carmelo Briguglio, secondo il quale così il Giornale danneggia Berlusconi e rafforza Fini. Altri, provenienti da un percorso diverso, non lasciano solo Fini: lo fa Benedetto Della Vedova, secondo il quale Fini rappresenta una destra europea e Feltri è "fuori luogo", e Roberto Menia ("Non si possono imputare a Fini i problemi del partito"). E, ovviamente, si stringe intorno a Fini la fondazione Farefuturo: "Il Presidente della Camera non sta a cuccia, fa il suo mestiere e nel Pdl troppe volte il dibattito degenera in signorsì". Nel giorno delle accuse di Feltri, secondo il quale il 'compagno Fini' punta al Quirinale, rinnegando il passato e facendosi usare dalla sinistra, anche Umberto Bossi non lesina critiche al presidente della Camera. Il leader della Lega, che stasera vedrà Berlusconi, non fa complimenti: il voto agli immigrati proposto dall'ex leader di An? "Chel lì l'è matt. Quello lì è matto. Come già riferito a monsignor Bagnasco anche noi vogliamo aiutarli, ma a casa loro. Se questo il presidente Fini non lo capisce è condannato a perdere altri voti". Gli attacchi a Fini non sfuggono all'opposizione. Dice Pierluigi Bersani: "E' ormai evidente che nelle difficoltà in cui si trovano c'è un richiamo all'ordine violento per chiunque apra bocca. Questo testimonia un nervosismo diffuso". Secondo il candidato alla segreteria del Pd, comunque, quanto accade è il segno che "la leadership del presidente del Consiglio si sta indebolendo". Un'analisi, quest'ultima, che trova d'accordo il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. "E' chiaro - spiega - che il dopo Berlusconi è già cominciato", lo dimostra il fatto che Berlusconi "delira" contro tutti: "un delirio di uno contro tutti che finisce per essere autolesionistico per l'Italia e per lo stesso presidente del Consiglio".
* da APCom

Caso Boffo e tutto il resto: DOVE VUOLE ARRIVARE IL “COMPAGNO FINI” di Vittorio Feltri*


Il presidente della Carriera rinnega il passato efa retromarcia su quasi ogni cosa: immigrazione, biotestamento e persino sui gay Il suo obbiettivo: correre per la presidenza della Repubblica. Ma in realtà rischia di essere solo un taxi utile all`opposizione.


Caro presidente Fini, sono abituato agli attacchi personali di giornalisti e politici e non mi sono offeso dei tuoi nella circostanza dell' affare Boffo. Hai definito i nostri servizi in proposito esercizi di killeraggio, qualcosa di vergognoso, un esempio di giornalismo da bandire; le stesse accuse rivolteci dalle voci e dalle penne di sinistra non più intinte nell`inchiostro rosso, bensì nell`acqua santa; voci e penne che fino ad alcuni mesi orsono erano impegnate a criticare la Chiesa, il Papa, i vescovi, i parroci e anche i sacristi colpevoli di ingerire negli affari interni dello Stato italiano. Poiché anche tu, come me, sei avvezzo agli attacchi (per lustri ti hanno dato del fascista, a te e perfino a Tatarella, giudicato indegno di sedere al governo perché missino), accetterai quanto sto per dirti con spirito sportivo. Specialmente adesso, che sei amato più dall`opposizione che dalla maggioranza, reputerai civile un dibattito alla luce del sole, addirittura pubblico e con i crismi della democraticità. Sulla vicenda Boffo ti sei comportato, tu, e non il Giornale, in modo vergognoso. Hai espresso un`opinione dura verso di me senza conoscere, nella migliore delle ipotesi, i fatti. Se li avessi conosciuti saresti stato prudente. Invece hai sparato per il piacere di sparare o per convenienza, che è anche peggio. Ti sei accodato agli intelligentoni del Pd e ai cronisti mondani di la Repubblica nella speranza di fornire un`altra prova che hai le carte in regola per entrare nel club dei progressisti. Non c`è altra spiegazione logica al tuo atteggiamento ostile verso un quotidiano che non ha ficcato il naso sotto le lenzuola ma nelle carte del Tribunale, divulgando un decreto di condanna e non le confessioni di una puttana come ha fatto la Repubblica con il tuo tacito consenso, visto che non risulta tu l`abbia biasimata per la campagna trimestrale, contro il leader del tuo partito, condotta esclusivamente sulla scorta di chiacchiere da postribolo. Prima di unirti al coro invocante la mia crocefissione in piazza, dato che non sei ancora il segretario del Pd, bensì il presidente della Camera, avresti dovuto informarti. Bastava una telefonata a me, e non sarebbe stata la prima; se non altro, ascoltando l`altra campana, ti saresti chiarito le idee e le tue dichiarazioni sarebbero state più caute. Non ti è neanche passato per la mente che un conto sono i pettegolezzi e un altro i reati. Obietterai: "Ma tu hai dato dell`omoses- suale al direttore dell`Avvenire". Ti rispondo, caro Fini: l`omosessualità non è un reato; e neppure un peccato, per me non cattolico. Piuttosto tu, amico mio, un paio di anni orsono ti lasciasti sfuggire una frase infelice e memorabile: «Un maestro elementare non può essere gay». Con ciò dando per assodato che un gay sia anche pedofilo. Converrai, di questo dovresti vergognarti. Poiché l`omosessualità non è in contrasto con la legge, non mi sarei mai sognato di rimproverarla a Boffo. E in effetti gli ho solo «ricordato» le molestie a sfondo sessuale a causa delle quali è stato condannato dalla giustizia ordinaria, e non da me. Il Giornale si è limitato a riferire un episodio, ciò rientra nel diritto di cronaca (ho scritto cronaca, non gossip). Prendo atto che in un biennio hai cambiato posizione sui gay e non li consideri più - era ora - immeritevoli di stare in cattedra. Però un`altra volta avvisaci prima delle tue virate, altrimenti ci cogli impreparati. A proposito di virate. Sei ancora di destra o da quella parte ti sei fatto superare da Berlusconi? Non è una domanda provocatoria. Nasce piuttosto da una costatazione. Sulla questione degli immigrati, parli come un vescovo. Sul testamento biologico parli invece come Marino, quello della cresta sulle note spese dell`Università da cui è stato licenziato. Intendiamoci, su questo secondo punto, molti sono d`accordo con te perfino nel Pdl, me compreso. Ma sul primo, scusa, è difficile seguirti. Tempo fa con Bossi firmasti una legge, che porta i vostri nomi, per regolamentare gli ingressi degli extracomunitari. La quale legge, nella pratica, si è rivelata insufficiente per una serie di lacune organizzative e burocratiche su cui sorvolo per brevità. Era ovvio che il governo di centrodestra, non appena insediato, correggesse e integrasse quelle norme introducendo il reato di clandestinità e, grazie alla collaborazione della vituperata Libia, i respingimenti, che non riguardano gli aventi diritto all`asilo politico, ma chi viene qui convinto che l`Italia sia un gruviera in cui ogni topo, delinquenti inclusi, ottiene ospitalità e impunità. A te la nuova disciplina, benché indispensabile, non va a genio. E vai in giro a dire che è una schifezza, e immagino, tu punti a farla cancellare. Affermi che occorre essere più umani. Edificante. Ma come si fa? Ci teniamo tutti gli immigrati incentivando altri arrivi in massa? E dove li mettiamo? Case, ospedali, scuole, servizi e posti di lavoro: provvedi tu a crearli? Con quali soldi? Buono chiunque a essere umano scaricando sulla collettività - in bolletta - ogni onere. Perché viceversa non ti dai da fare per persuadere l`Europa, che ci fa le pulci, a condividere con noi il problema e a pagare le spese della soluzione? Per esempio con la spartizione, fra i vari Paesi membri della Ue, degli immigrati che approdano alle nostre coste? A te non premono soluzioni alternative, sennò faresti proposte anziché lanciare critiche alla tua stessa maggioranza. Ti sta a cuore la simpatia della sinistra, che non sai più come garantirti. Il motivo si può intuire; se sbaglio correggimi. Miri al Quirinale perché hai verificato che la successione a Berlusconi avverrà con una gara cui è iscritta una folla. Fare il ministro non ti va; hai già dato. Fare l`uomo di partito, figurarsi; anche qui hai già dato. Continuare ad occupare la presidenza della Camera? Che barba. E allora rimane il Colle, lì a due passi da Montecitorio. Per arrivarci servono molti voti, ma non ne hai abbastanza nel Pdl. È necessario raccattarne a sinistra, alla quale, dunque, fai l`occhiolino nell`illusione di sedurla. Oddio. L`hai sì conquistata; lo si è potuto vedere alla Festa dell`ex Unità dove sei stato salutato quale novello Berlinguer. Ma la sinistra ti usa perché le fai comodo; sei il suo tassì. Al momento di eleggere il presidente della Repubblica (la prossima legislatura) ai progressisti sarà passata la cotta. E da loro non beccherai un voto.

Consiglio non richiesto: rientra nei ranghi. Torna a destra per recitare una parte in cui sei più credibile; non rischierai più di essere ridicolo come lo sei stato spesso negli ultimi tempi.


* da "Il Giornale" del 7 settembre 2009

domenica 6 settembre 2009

Festa Tricolore della Libertà MIRABELLO 2009 - I numeri vincenti

Di seguito i numeri vincenti della sottoscrizione (lotteria) della Festa Tricolore della Libertà "MIRABELLO 2009".

3870 1° premio: Soggiorno per una settimana, due persone a Sharm el-Sheikh (Egitto - Mar Rosso)
3662 2° premio: Computer portatile ACER
0164 3° premio: Videocamera digitale
3808 4° premio: iPod 16 giga

venerdì 4 settembre 2009

E SE LA DESTRA FOSSE PROPRIO QUELLA DI FINI? di Benedetto Della Vedova*


"Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?… è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra". Impagabile Gaber nel suo graffiante, malinconico ma non disperato sberleffo sulle "distinzioni" politiche. Ma se l’ironia di Gaber aveva un taglio, diciamo così, sociologico (il bagno di destra, la doccia di sinistra… la minestrina di destra, il minestrone di sinistra e così via) il tormentone si è ripresentato ben più serioso anche in questo scampolo di politica estiva.Bersaglio principale Gianfranco Fini che direbbe ormai “cose” di sinistra e non più di destra. Si sono misurati in molti su questo con una strana concordia bipartisan: gli uni accusando, gli altri benedicendo.Con le categorie ottocentesche di destra e sinistra non ho mai avuto dimestichezza nella mia militanza radicale post ‘89, proiettata in un “altrove” liberale, liberista e libertario. Del resto, Pannella esordì alla Camera nel 1976 schierando la pattuglia radicale nell’emiciclo di Montecitorio all’estrema sinistra, ma “in nome dell’alternativa riformatrice destra storica".
La mia scelta della destra berlusconiana è maturata proprio nella convinzione che la discesa in campo del Cavaliere abbia operato in Italia una straordinaria rottura del conformismo politico, consistita prima di tutto nell’aver portato nel campo del centrodestra la frontiera dell’innovazione politica, sociale, economica ed istituzionale. A partire da questo Berlusconi ha costruito uno straordinario consenso trasversale. Il profilo del Pdl che Gianfranco Fini delinea è in piena continuità con il progetto berlusconiano di libertà individuale e di modernizzazione sociale ed economica, ancorandolo per il futuro alle politiche dei grandi partiti del PPE e dei suoi leader Sarkozy, Merkel e Rajoy, ed in sintonia con il conservatore britannico Cameron.
Ovunque in Europa, infatti, il centrodestra conquista ampi consensi non con la retorica artificiosa e passatista del “Dio, patria e famiglia”, ma con un’apertura liberale sulle questioni sociali, in presa diretta con l’evoluzione della società. Un’applicazione pragmatica e tutt’altro che ideologica del concetto di laicità ha consentito ai partiti moderati di strappare alla sinistra europea il monopolio della modernizzazione, consentendo di coniugare libertà economica e responsabilità individuale sulle questioni della biopolitica.
Si possono per esempio avere nel PDL, va da sé, opinioni diverse sulla vicenda di Eluana Englaro. Ma pensare che “l’hanno ammazzata” sia di destra mentre riconoscere la legittimità e la moralità della scelta della famiglia sia di sinistra non ha alcun significato se non quello della polemica astratta e strumentale: basterebbe leggere il testo di legge sul biotestamento della CDU tedesca firmato dalla Merkel (che prevede la possibilità di desumere la volontà, vincolante, del paziente incosciente dalle sue pregresse convinzioni etiche e dai suoi personali valori) per capirlo. Dialogare con la comunità omosessuale e chiedere il riconoscimento giuridico delle coppie gay può non piacere, ma è quanto fa il conservatore Cameron in Gran Bretagna che sceglierà i candidati di collegio riservando un “quota gay” o quanto dice Sarkozy, che ha annunciato in campagna elettorale di voler andare oltre i PACS per le coppie omosessuali. Riflettere sulla cittadinanza agli immigrati secondo il principio dello “ius soli” e considerare pragmaticamente la regolarizzazione dei lavoratori clandestini sarà poco leghista, ma assomiglia molto alle posizioni del candidato repubblicano alla presidenza americana sconfitto con onore da Obama, John McCain. Potrei continuare, magari sulle cellule staminali, ma mi fermo qui.
L’alternativa tra forze politiche in concorrenza è il connotato essenziale della democrazia nella libertà, massimamente quando si presenta con una scelta binaria “destra-sinistra”. Ma nel tempo che viviamo i contenuti delle politiche rispondono ormai a criteri molto meno prevedibili e codificati che in passato, distinguendosi spesso sull’antinomia innovazione-conservazione.Naturalmente, ciò non significa che siano scomparse le idee, anche quelle forti. Magari come dice Gaber nella stessa canzone: “L’ideologia, l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia, è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché, con la scusa di un contrasto che non c’è, se c’è chissà dov’è".

*da Il Secolo d'Italia del 4 settembre 2009




mercoledì 2 settembre 2009

GASPARRI: “IN NOME DEL POLITICAMENTE CORRETTO NON SI PUÒ TRADIRE L’IDENTITÀ” di Cristiana Vivenzio*


Sembrava un fiume in piena Maurizio Gasparri, che non aspettava altro che il momento giusto per rompere gli argini. A Villa Tuscolana, dove da oggi e per sette giorni 75 studenti di centrodestra parteciperanno alla scuola di formazione politica di Magna Carta e Italia protagonista, il presidente dei senatori del Pdl ha parlato ai cuori e alle menti dei giovani pidiellini. Ma non solo. Sembrava esser venuto con la precisa intenzione di rinfocolare gli animi, di tirare fuori la passione della politica e tutto il peso di un passato che non merita di essere rinnegato. Ha usato parole forti, inequivocabili, è tornato a parlare un linguaggio antico e appassionato. Senza strascichi nostalgici ha semplicemente raccontato ad una giovane e alquanto attonita platea che i valori in cui per anni ha creduto e combattuto e rischiato nel nome del ferro e del sangue come molti suoi compagni di lotta politica non sono scomparsi con un colpo di spugna istituzionale, ma sono lì sempre presenti a ricordare quanto conta da dove si viene per decidere dove si va.
Con un ingombrante convitato di pietra che a tutti è sembrato fin troppo evidente, Gasparri ha toccato tutti i temi di più scottante attualità politica. È tornato a parlare di impegno, militanza e identità, di orgoglio nazionale e di laicità, di reducismo ed esperienza e ancora di cultura, energia, forza e decisione, che poi sono i caratteri della politica come la intende lui. “A volte bisogna decidere, prendere posizione. Non si può fare la media ponderata delle opinioni altrui” - ha detto Gasparri - “Bisogna assumersi responsabilità. Compiere scelte. Con il rischio di fare qualche errore. Ma questo modo di essere è per me l’unico che può scegliere chi vuol essere un punto di riferimento”. Poi l’ex colonnello di An comincia a sferrare i primi colpi: di uomini a caccia di celebrità giornalistica “ce ne sono diversi in giro a destra, soprattutto tra chi venendo da An soffre ancora della sindrome da “polo escluso” e quindi spara sciocchezze per la gioia dei giornaloni impegnati nella caccia al fesso del giorno che balza agli onori della cronaca … se tutti balbettano e cercano l’applauso della parte avversa la situazione scivola verso il degrado e scelte inaccettabili diventano possibili, perché non contrastate con la forza necessaria. È vero che bisogna conquistare il centro per vincere, ma non bisogna perdere quella vasta destra che finalmente è emersa”.
Quella vasta destra che finalmente è emersa e che Gasparri non ci sta ad immolare sull’altare di una visione del mondo fatta di compromessi e mezze misure, perché per lui la politica vera “è fatta di dedizione, fatica, sacrificio, apprendimento, relazioni umane, viaggi all’alba e a notte fonda, capacità di trovare risposte anche quando sembrerebbero non essercene, dare coraggio e indicare la linea anche quando sembra che non ci sia via d’uscita e la sconfitta sia permanente”. In una parola è fatta di militanza, per convinzione e non per convenienza, quella convenienza che troppe volte riecheggia nelle parole di chi la destra l’ha fatta e poi l’ha rinnegata.
E allora la domanda torna ad essere sempre la stessa, ricorrente fino alla noia e alla retorica: chi siamo e che cosa vogliamo? “Non possiamo certo trascurare la questione dell’identità – dice Gasparri – se ne è discusso molto in An in questi anni. Molti, temendo la perdita di posizione di rendita, frenavano il cammino verso il partito unitario del centrodestra, eccependo presunte crisi di identità. In realtà erano tutte fesserie”. In troppi, secondo Gasparri, hanno ceduto all’idea del partito di plastica. Lui no: “Ci sono turisti dell’identità in libera uscita, che dopo aver esitato di fronte al cammino unitario, buttano dentro il PdL radicalismi e laicismi che poco servono, se non a creare confusione”.
Poi il presidente parla dell’Italia, di unità e centocinquantenari, di Patria con la P maiuscola e di quel protagonismo di cui Gasparri, con la sua Associazione, ha fatto un punto di orgoglio e forza, contro i tentennamenti di alcuni suoi ex compagni di partito: “Da Dante ai giorni nostri, la storia e la cultura italiane sono piene di protagonisti e di contenuti; nella letteratura, nella scienza, nelle arti, anche le più recenti dell’immagine e della multimedialità. Nessuna sudditanza, aperti al mondo ma orgogliosamente italiani. E non dobbiamo farci dare lezione di amor patrio, in vista dei 150 anni di unità dell’Italia, da chi, se avesse vinto sessant’anni fa la sua parte politica comunista, avrebbe fatto tabula rasa della storia e dell’orgoglio nazionale. La Patria non è morta, ha vissuto come tutte le comunità momenti alti, forse non troppi, momenti drammatici, non pochi. Siamo arrivati all’unità dopo altri grandi Stati europei, tra molti problemi”. Vi è, secondo l'ex di An, una grande missione per il PdL e per i suoi giovani: costruire il futuro ma scavando a piene mani nella storia e nella grandezza italiana.
Ma Gasparri mette i giovani in guardia dal rischio più elevato per chi fa politica: essere colpiti dalla sindrome del politicamente corretto. “Cinguettare le cose che piacciono alla sinistra, per avere, se si è in prima fila, il favore dei giornali “giusti” è una forma di provincialismo, mista a un senso di inferiorità che nasce dall’insicurezza e dall’ignoranza. Per molti è impossibile mettersi contro vento. Meglio assecondare il pensiero prevalente, ma il politicamente corretto è il cancro delle idee, la resa alle banalità e ai luoghi comuni. I laudatori rilasciano patenti di presentabilità sociale, ma ovviamente continuano a votare per i loro campioni di sinistra. Il soggetto politicamente corretto come massimo beneficio va incontro al destino di un cagnolino da borsetta, stile chihuahua orrendamente agghindato in modo innaturale ma tale da poterlo mostrare in salotto come un gioiellino da passeggio. Ma guai ad abbaiare”.
Infine, l’affondo su una malintesa quanto pretestuosa concezione di laicità: “Essere il Pdl non vuol dire garantire a ciascuno la possibilità di fare ciò che vuole, con il solo limite di non crear danno ad altri. È ben difficile lasciare al singolo la decisione sul limite alla libertà. Occorrono regole per far vivere insieme la libertà delle persone con il bene comune. Ci sono insomma dei princìpi etici che devono caratterizzare l’azione politica”. Il riferimento allo Stato etico non lascia margini di dubbio. Gasparri ce l’ha con chi ha gridato al pericolo dello Stato etico, come rischio di nuovi totalitarismi. In realtà, secondo il senatore pidiellino, uno Stato senza un’etica non può esistere, così come non può essere vietata un’etica pubblica. Altrimenti la politica si ridurrebbe a mera gestione di affari correnti, aliquote Iva, Pil, Dpef, commi e cavilli sulle quote latte o date e strade. Ma “la politica deve governare le comunità, confrontare e attuare progetti. Deve quindi avere un’etica, altrimenti è amministrazione, nella migliore delle ipotesi, senza valori e prospettiva". E affermare ciò non vuol dire certo - come qualcuno continua a sostenere - contrapporre i cosiddetti laici a oscuri clericali, significa piuttosto restituire ad ognuno il suo ruolo e la sua posizione, laicisti e atei compresi.
Come devono essere dunque i giovani che si candidano a diventare le nuove leve della classe dirigente di questo paese? “Veri. Militanti. Liberi. Scorretti se necessario. Cosi saremo e sarete responsabili, forti di passione, costruttori del futuro. Dobbiamo agire come se il mondo dipendesse da noi, solo così avremo coraggio e responsabilità invece di fatalismo e resa a idee sbagliate”. Quelle idee che troppo spesso sentiamo invece pontificare come il nuovo verbo della destra italiana.
*Da “L’Occidentale” del 2 agosto 2009